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Patrimonio culturale
Descrizione
Sulle più antiche vicende della baraggia biellese mancano assolutamente notizie storiche; esse si possono tratteggiare solo a grandi linee partendo dall'epoca romana, mentre poi, più tardi, e specialmente nel periodo della dominazione sabauda in Piemonte, le notizie si fanno più chiare e più precise.
Durante la dominazione romana e ancora sino a quasi tutto il 1000, la pianura biellese era una grande foresta; vi crescevano rigogliosi la quercia, il nocciolo, il pioppo, il salice e tra tutte queste piante vagavano i cinghiali, i caprioli, e i cervi veloci.
Vennero i Longobardi e i Franchi: la nostra foresta vide allora meravigliose e imponenti partite di caccia, tanto amate da quei rappresentanti di una nobiltà guerriera e primitiva.
Così il bosco fu rispettato sinchè l'aumento graduale della popolazione e la conseguente diminuzione della selvaggina fecero venir meno l'interesse a conservare la foresta.
Cominciò allora l'invasione vandalica da parte dei pastori e dei cittadini; seguirono le necessità di fortificazioni richieste dalle continue guerriglie medioevali: gli alberi annosi furono abbattuti senza alcun riguardo, e di quella grande foresta non rimase più nulla. Poche ceppaie isolate attorniate dal brugo rimasero a testimoniare l'antica esistenza dei grandi alberi. Così nacque la baraggia, tanto più vasta allora che oggi.
Terminate le invasioni barbariche si accesero tra la nostra nobiltà feudale le sterili lotte di predominio e allora si pensò a tutt'altro che non all'agricoltura; i biellesi poi, per naturale tendenza, preferivano allevare comodamente il loro bestiame, avendo trovato nella baraggia condizioni favorevoli alla pastorizia che dava loro del resto le principali entrate.
Nel 1200 le terre incolte del Biellese erano per la maggior parte investite dai feudatari alle comunità dei villaggi e alle genti dei luoghi mediante un canone annuo.
Questa divisione tra comunità e privati fece sì che i secondi, interessati personalmente alla produzione dei loro terreni, si prodigassero in ogni modo e con ogni mezzo per farli rendere il più possibile; le terre delle prime, invece, furono trascurate e neglette. Cosicché i terreni posseduti allora dai privati sono oggi quelli ormai o quasi o completamente ridotti a coltura.
Questo stato di cose e la conseguente infertilità della maggior parte della brughiera durò sino al 1800 circa, quando i Comuni alienarono ai privati molte delle terre di loro proprietà. Già nel 1400 si parlava di dissodare le terre incolte.
Non si può dire con certezza, ma molto probabilmente cade in questo secolo la prima grande opera di bonifica; essa si deve a Sebastiano Ferrero, l'abilissimo Generale delle Finanze dei Duchi di Savoia prima, del Re di Francia a Milano, poi. Verso la fine del secolo infatti egli dedusse dal Cervo, sotto Candelo, la roggia detta poi Marchesa e potè con essa rendere feconde molte terre sterili.
Con lettere patenti del 20 agosto 1509, il Duca Carlo III concedeva ai Nobili Bulgaro e Masino di far derivare una roggia dal torrente Elvo per irrigare i terreni del territorio di Salussola (attuale roggia Madama).
Con lettere patenti del 30 settembre 1561 il Duca Emanuele Filiberto concesse a Besso Ferrero Fieschi, Marchese di Masserano, la derivazione di una roggia dal torrente Cervo (attuale roggia Marchesa) opera realizzata già nel 1400 da Sebastiano Ferrero.
Con atto 16 marzo 1655, i convassalli di Cerrione concessero al Conte Carlo Salomone di Serravalle di estrarre una nuova roggia dall'Elvo per irrigare terreni in territorio di Salussola (R. Massa di Serravalle).
Nel 1702, il 21 dicembre, il Duca Vittorio Amedeo II, emanava una regia patente perché fossero bonificate e coltivate vaste zone incolte. Nulla si trova in documenti dell'epoca sul buon risultato del tentativo; sappiamo solamente che nel 1705 il Piemonte fu invaso dagli stranieri e probabilmente gli iniziatori dell'impresa accorsero sotto le bandiere ducali per difendere lo Stato.
Ancora, nel sec. XVIII" gli architetti Bays e Contini avevano proposto al Re Carlo Emanuele III di derivare un canale dal torrente Ciles nella Valle di Vallea verso Fontanamora, da dove, mediante un foro nella montagna e rocca viva, poteva sboccare tra i luoghi di Donato e Netro e quindi dividersi col condurre un ramo verso Santhià, e coll' indirizzare altra diramazione per i territori di Mongrando, Cerrione, Salussola, Massazza, Castellengo, Castelletto Cervo, La Motta a beneficio di tutte le baragge di quei contorni".
L' 8 gennaio 1783 si tenne un convegno a Torino per esaminare i progetti antichi e recenti; in seguito a questa revisione si provvide alla costruzione del nuovo canale detto di Cigliano (ora Depretis) attivato nel 1785.
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